LA MIA ESPERIENZA NELLA AMAZZONIA PERUVIANA
Sono sacerdote peruviano, della
Congregazione Missionari Oblati di Maria Immaculata. Nato nel 1974 a Lima,
capitale del Perù. Era l’anno 2004 quando ho terminato la Teologia a
Cochabamba, in Bolivia. Dopo tre anni degli studi sono arrivato in Perù. Ho
deciso di consacrarmi come religioso oblato con voti perpetui... “solo Dio sa se mi è dispiaciuto facerla”.
La prima volta ho vissuto nella Missione di
Aucayacu, a Huanuco - Perù. Ero un giovane entusiasta che iniziava l’avventura missionaria.
Mi dicevo: “questo è come un sogno, Gesù
ha mandato in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo…, se Dio vuole sarò
sacerdote missionario oblato”.
Prendere la decisione di
accantonare per un tempo nella foresta peruviana, allontanarsi da familiari ed
amici e di lasciare le comodità della nostra quotidianità non è estato facile,
ma alla fine ho deciso di fare questo passo nel buio forse perché spinto dalla
voglia di conoscere una parte del lavoro della Chiesa. Va da sé che la foresta
è un posto difficile dove stare.
Purtroppo, dal 1980 al 2000,
Aucayacu era una delle regioni più depresse e dimenticate dal governo. Che cosa
è succeduto…? I civili si trovarono sempre più coinvolti negli scontri armati
tra Sentiero Luminoso e lo stato peruviano. Se non soddisfacevano le richieste
dell'esercito erano trattati come terroristi e spesso spazzati via in terribili
massacri. Se non aiutavano, o semplicemente non si sottomettevano a Sentiero
Luminoso, venivano accusati di essere traditori e correvano il rischio di
rappresaglie dall'altro lato. Questa situazione fu particolarmente brutale fino
al 1985: in soli due anni furono uccise 5567 persone, 96% delle quali civili. Fare
a meno di questo era un peccato. Non fare parola era la regola. Avevo paura.
Vista la situazione
politico-economica in cui si trova il posto e le persone…, “magari dovrei lasciarlo”, ho pensato. A volte alcuni di loro mi hanno detto
che devo lavorare in questo posto missionario. Dopo d’aver parlato con miei
fratelli oblati ho deciso di rimanerci. La missione ha una radio comunitaria.
Ho lavorato lì per quattro anni. Avevo un programma radiofonico. Una prima
esperienza affascinante che cambierà la mia vita. Essere un comunicatore
sociale.
Dopo quattro anni, mio padre
superiore mi ha scritto e mi ha dato una notizia bomba: hanno accettato i miei
voti perpetui… “Roberto, eccoti i tuoi
voti perpetui”. Ma la lettera anche diceva: “Devi prendere in
considerazione, si apre una nuova missione nella foresta peruviana, vicino alla
Colombia ed all’Ecuador…, vieni a Lima, dobbiamo di parlare”.
Santa Clotilde è la capitale del
distretto del Napo, nella provincia di Maynas. È una circoscrizione
territoriale facente parte della regione Loreto. Partendo da Iquitos, il
capoluogo regionale, vi si arriva solo con barca a motori o con i piccoli
monomotori ad elica, dai quali, nelle quasi tre giorni di viaggio, si può vedere
una landa sterminata di vegetazione incontaminata. Distante solo 350 chilometri
dalla frontiera equatoriana. La città – ma sarebbe opportuno chiamarla Posto di
Missione, visto che è la sede parrocchiale – ha una popolazione urbana più meno
attorno ai 4,500 abitanti e la popolazione rurale più meno de 7,500 abitanti. È
bagnata dal fiume Napo, che nasce nella Cordigliera delle Ande Equatoriani.
Queste fiume è grande e lungo. Unisce il Perù e l’Ecuador come una sola
cultura. Solo nella parte peruviana si trovano 124 comunità indigene,
diversificate tra loro per stirpe, usi, costumi e lingua. I gruppi etnici
presenti sono Kichwas, Secoyas, Arabelas, Muruy – Muinane, Maijunas.
Ricordo le parole del Padre
Mauricio, il mio superiore: “Sta’ in gamba!… Io al posto tuo prenderei una
nuova avventura misionaria”. Allora, ho pensato: “Secondo me è meglio prendere
una nuova missione. È necesario che la mia vita abbia una nuova esperienza”.
Con tutto ciò sono arrivato a Santa Clotilde, era ottobre 2008. Dopo un po’, posso
affermare che in moltissime circostanze nelle comunità si incontrano casi di
denutrizione, specialmente tra i bambini, e di analfabetismo e/o di
incomprensione del castigliano e di usanze tribali che, per esempio, portano
uomini e donne a mangiare in tavoli separati. Il matrimonio dei figli viene
ancora combinato dai genitori nelle comunità più distanti da Santa Clotilde, ma
con il tempo le cose stanno cambiano ed i più giovani ora possono trovare
autonomamente la persona con cui vogliono instaurare una relazione affettiva. Sono
molte cose che hanno penetrato in mio cuore.
La cosa più importante che ha richiamato
la mia attenzione della Cultura Napuruna è la vita quotidiana del indigena
napuruna. Ha una relazione molto profonda con Dio e con la foresta, con la sua
familia e con la sua comunità. “Dio cammina e visita nostra comunità, nostre
case. Lui parla con noi. Da consigli”. Le persone che vivono qui sono semplici,
in quanto vivono con poco.
Per concludere come si deve: dopo
sette anni di lavoro, un giorno l’ho detto a Florentino Noteno, animatore
cristiano indigena con chi abbiamo lavorato insieme: “ti sono grato per tutto
quanto ho imparato nella tua casa, nella tua comunità. Devo andare a una nuova
missione…”
ROBERTO CARRASCO, OMI
NOTA: Mi scuso, è la prima volta che scrivo un articolo in lingua italiana
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